Scopro (e approfondisco) in questi giorni l’esistenza di un movimento “Slow Medicine“, l’equivalente “sanitario” di Slow Food di cui trasforma il “Buono, Pulito e Giusto” in “Sobria, Rispettosa, Giusta”.
In pratica raccoglie un gruppo di medici per promuovere “una cura appropriata, sostenibile, equa, attenta alla persona e all’ambiente”.
La Slow medicine riconosce che fare di più non vuol dire fare meglio. La diffusione e l’uso di nuovi trattamenti sanitari e di nuove procedure diagnostiche non sempre si accompagnano a maggiori benefici per i pazienti.Interessi economici e ragioni di carattere culturale e sociale spingono all’eccessivo consumo di prestazioni sanitarie, dilatando oltre misura le aspettative delle persone, più di quanto il sistema sanitario sia poi in grado di soddisfarle. Non si pone inoltre sufficiente attenzione all’equilibrio dell’ambiente e all’integrità dell’ecosistema.Una MEDICINA SOBRIA implica la capacità di agire con moderazione, gradualità , essenzialità e di utilizzare in modo appropriato e senza sprechi le risorse disponibili. Rispetta e salvaguarda l’ecosistema.
E ancora:
Una cura slow non è una cura lenta: è una cura che rinuncia alla frettolosità in nome dell’accuratezza e della riflessione.
Che è tempestiva senza essere sbrigativa.
Che utilizza l’ascolto e il dialogo uniti alla competenza clinica e all’uso appropriato delle tecnologie diagnostiche e terapeutiche.
Che sviluppa metodi e strumenti per facilitare la partecipazione attiva dei cittadini ai percorsi di cura.
Che cura la formazione dei professionisti e il loro diritto a percorsi formativi aggiornati, efficaci, scientificamente fondati e liberi da conflitti di interesse.
Sicuramente negli ultimi anni ci siamo sempre più rimpinzati di medicine, sia convenzionali che le cosiddette olistiche o tradizionali; talmente rimpinzati che è diventato difficile in certi casi riconoscere il confine tra cura e malattia. A settembre 2012 nel corso dell’annuale convegno dell’Associazione Neurologica per la Ricerca sulle Cefalee sono stati presentati studi che hanno testimoniato che la maggior parte delle cefalee cronicizzate che arriva ai Centri Cefalee (dal 20% al 40% di tutti i mal di testa) è legato ad abuso di farmaci [fonte], complice anche l’auto-prescrizione.
Il movimento Slow Medicine vuole mettere in primo piano la relazione, in particolare quella tra medico e paziente (evitando anche le facili battute sulla lentezza della sanità italiana), ma anche quella tra il paziente ed il proprio corpo.
Veniamo da anni di ignoranza culturale e di disinteresse in materia di salute, anni in cui le nostre nonne ci hanno insegnato che se il dottore non ti prescrive un po’ di medicine ogni volta vuole dire che non è bravo. Oppure che sei incurabile.
Forse – e questa penso sia la sfida più ostica per il movimento – dobbiamo cominciare a pensare che anche nella medicina “less is more”. Così come nel design, nel cibo, nella tecnologia. Che sia il 2013 l’anno buono?